Respinti e poi bloccati odissea kurda a Venezia, Il Manifesto, 23/06/2009

Profughi IN PORTO

RESPINTI E POI BLOCCATI ODISSEA KURDA A VENEZIA

Sessanta immigrati kurdi arrivano nel capoluogo veneto. Rimessi su una nave per essere riportati in Grecia, vengono «salvati» dall’intervento di associazioni e centri sociali. Ospitati alla stazione marittima, si apre la battaglia per ottenere il diritto d’asilo. E si svela il meccanismo dei respingimenti «facili». Alla fine vengono cacciati in 49
Ore frenetiche, voci rimbalzanti, le più discordi. Per tutta la giornata di ieri 59 profughi kurdi sono rimasti in balia della polizia portuale prima di essere imbarcati su una nave che li ha riportati in Grecia. Ma questa volta il meccanismo della deportazione di massa in fretta e furia si è inceppato. L’intervento immediato di associazioni e centri sociali ha fatto sì che venissero osservate le procedure, che hanno portato al rimpatrio di 49 persone. E se non altro i profughi hanno avuto il diritto di essere ascoltati dal Cir.
Erano arrivati al porto di Venezia domenica mattina, molte donne e una ventina di bambini, anche molto piccoli. Kurdi iracheni ma anche kurdi siriani, qualche kurdo yezidi, qualche afghano. Sono sbarcati a Venezia provenienti dalla Grecia. Ma non si erano imbarcati clandestinamente sul traghetto partito da Igoumenitsa. Avevano tutti regolare biglietto e viaggiavano con automobili. Al controllo passaporti però le autorità italiane si sono insospettite e hanno verificato che i documenti erano falsi (passaporti turchi a quanto pare).
I profughi sono stati sistemati alla stazione marittima, dove la protezione civile ha provveduto ad allestire delle tende per la notte. Intanto davanti al porto, non appena giunta la notizia dell’arrivo dei profughi, si sono radunate decine di persone, centri sociali, attivisti di associazioni e di Planet K, il padiglione kurdo nell’ambito della Biennale. Le associazioni chiedevano notizie ma soprattutto garanzie. Impossibili da ottenere come è stato tristemente confermato ieri pomeriggio. Ma la cosa grave è che rassicurazioni sul non rimpatrio dei profughi erano state date dalla questura anche al comune di Venezia, in particolare all’assessore Luana Zanella, che dopo non facili trattative domenica sera era riuscita a incontrare i sessanta profughi insieme a due interpreti della comunità kurda veneziana. La questura infatti aveva ribadito che dopo gli accertamenti i profughi sarebbero stati condotti all’ufficio immigrazione di Marghera. Dopo di che, incerto il futuro. Chi parlava di foglio di via, decreto di espulsione, chi di trasferimento ai centri di detenzione, chi temeva il peggio e cioè il rimpatrio. Che si è puntualmente verificato.
La questura si è mascherata dietro al fatto che i profughi non hanno richiesto asilo politico (soltanto due le famiglie, una afghana e una kurda che lo hanno fatto) e per questo non aveva alcun obbligo di tenerli in Italia. In realtà forse per la prima volta, grazie alle pressioni delle associazioni, si sono svolte procedure se non legittime, legali nell’identificazione dei profughi, che sono stati comunque tutti ascoltati dal Cir ieri sulla loro volontà o meno di presentare domanda di asilo politico. Quindi la decisione di rimpatriarli verso la Grecia. Al porto di Venezia (e non solo in questo) fino a domenica le procedure sono sempre state molto sommarie. Anzi, praticamente inesistenti: i respingimenti erano all’ordine del giorno e né Cir né comune di Venezia aveva la possibilità di incontrare i profughi di persona per poter verificare che fossero a conoscenza dei loro diritti.
Il Comune aveva abbandonato il porto per protesta. Un gesto clamoroso per contestare gli impedimenti da parte della polizia portuale che appunto provvede ai respingimenti spesso e volentieri senza neppure lasciare che i profughi parlino con gli operatori dell’ufficio stranieri comunale. «Un gesto che oggi – sottolinea il consigliere comunale dei verdi, Beppe Caccia, ieri al porto – alla luce di quanto è avvenuto dovrebbe far ripensare anche questa assenza degli operatori del comune. Forse è arrivato il momento di tornare al porto e imporre la nostra presenza. Su 60 profughi – aggiunge – uno su sei ha chiesto asilo. Possibile che dal porto di Venezia in un anno siano state respinte 1200 persone e che nessuna avesse voluto chiedere asilo?»
Domenica sera, quando finalmente l’assessore Zanella e l’interprete kurdo sono riusciti a visitare i profughi, si sono fatti raccontare qualcosa della loro storia. Ovviamente la paura prevale e quindi nessun dettaglio è trapelato. Le donne prevalentemente stavano cercando di raggiungere i mariti in Germania con i loro figli. Ma per una famiglia kurda (una donna e i suoi quattro figli) e una afghana invece l’obiettivo era richiedere asilo, come ieri hanno fatto. Tra i sessanta profughi anche una donna molto anziana e bimbi piccolissimi. I profughi viaggiavano su nove automobili, il che lascia pensare a una organizzazione piuttosto elaborata del viaggio. Di certo molto costosa, qualcuno ha parlato di 3-4mila euro. Che sarebbero andati perduti, va detto, se i profughi avessero deciso di richiedere asilo in Italia. Perché evidentemente la meta (almeno di una buona parte di questi) era la Germania. Il dramma di queste famiglie è duplice, da una parte il tentativo di raggiungere illegalmente o con mezzi di fortuna mariti o parenti, rischiando violenze e anche la vita (ricordiamo i piccoli morti dell’ultimo anno, proprio al porto di Venezia), dall’altra il ricatto costante di chi li tiene in pugno: i soldi non vengono restituiti se il profugo si ferma di sua volontà. Ma il viaggio se va male si può ritentare anche più di una volta, senza dover pagare ulteriori soldi ai passeurs senza scrupoli. Il rischio evidentemente aumenta, ma per chi sta scappando o comunque vuole arrivare in un luogo e non ha la possibilità di farlo legalmente, vale comunque la pena di essere affrontato.