MSF, per gli immigrati irregolari centri in emergenza e senza diritti, La Repubblica, 02/02/2010

L’indagine dell’organizzazione su 21 luoghi tra “Cie”, “Cara” e “Cda”
In 5 anni è cambiato poco. L’assistenza in tutti i campi è insufficiente

di VLADIMIRO POLCHI

ROMA – Scarsa tutela dei diritti fondamentali. Mancanza di protocolli d’intesa col Sistema Sanitario Nazionale. Insufficiente assistenza legale, sociale, sanitaria e psicologica. Episodi di autolesionismo, risse, rivolte. Assenza di beni di prima necessità. A distanza di cinque anni, Medici Senza Frontiere (MSF) torna nei luoghi di trattenimento degli immigrati privi di permesso di soggiorno. Cosa è cambiato? Poco: “La gestione dei centri per migranti, nonostante siano stati istituti ormai da più di un decennio, sembra ancora ispirata da un approccio emergenziale e in larga parte lasciata alla discrezionalità dei singoli enti gestori”. 

MSF aveva già condotto nel 2003 un’indagine sui Cpt italiani. Nell’autunno del 2008 due equipe composte da dottori, infermieri, operatori sociali e mediatori culturali sono tornati in 21 centri tra CIE (Centri d’espulsione), CARA (Centri per richiedenti asilo) e CDA (Centri d’accoglienza), disseminati sul territorio nazionale (l’ingresso a Lampedusa è stato negato dalla Prefettura di Agrigento). Nella prima metà del 2009 si sono verificati, tuttavia, due eventi che hanno modificato lo scenario: l’estensione da 2 a 6 mesi del periodo massimo di trattenimento all’interno dei CIE e la brusca interruzione degli arrivi di migranti sulle coste meridionali, principale canale di approdo dei richiedenti asilo in Italia, in seguito agli accordi tra Governo italiano e libico. MSF ha quindi deciso, nell’estate del 2009, di entrare nuovamente nei centri. 

I risultati? Sconfortanti. “Analizzando i dati raccolti nelle visite condotte nel 2008 e nel 2009  –  si legge nel rapporto “Al di là del muro”  –  nonostante alcuni miglioramenti soprattutto nella qualità degli edifici, è emersa una condizione non molto dissimile da quella riscontrata nel primo rapporto del 2003. Permangono numerosi fattori di malfunzionamento ed episodi di scarsa tutela dei diritti fondamentali a prescindere dall’ente gestore”. Non solo. Difetta la trasparenza, “come testimoniato dal rifiuto del ministero dell’Interno di rendere disponibili a MSF le convenzioni stipulate tra i singoli enti gestori e le locali Prefetture (la Prefettura di Crotone è l’unica ad aver reso disponibile una copia della convenzione sottoscritta con l’ente gestore del centro)”. Insomma, “i centri per immigrati sembrano operare come enclave con regole, relazioni e dimensioni di vita propri, senza controlli esterni e di indicatori di qualità”. 

Le condizioni peggiori sarebbero nei CIE. Ci si trova dentro di tutto: dagli ex detenuti agli stranieri con anni di soggiorno alle spalle, figli e famiglia in Italia. “Il 50% degli intervistati era in Italia da più di 5 anni, di cui molti anche da più di 10 anni. Nel complesso, il tempo medio di permanenza in Italia dei trattenuti intervistati è di 7 anni e 4 mesi”. Una promiscuità che può essere alle origini dell’elevato livello di tensione e malessere all’interno dai centri. “Ne sono la riprova le testimonianze dei trattenuti e le numerose lesioni che si procurano, il frequente ricorso che fanno alle strutture sanitarie e ai sedativi, i numerosi segni di rivolte, incendi dolosi e vandalismi e le notizie di cronaca di suicidi, tentati suicidi e continue sommosse. Una tensione che non appare semplicemente legata alla condizione di detenzione ai fini del rimpatrio, ma anche al senso di ingiustizia vissuto dai trattenuti nel subire una limitazione della libertà personale pur non avendo commesso reati, e di essere detenuti in luoghi, inoltre, incapaci per loro natura di trattare adeguatamente bisogni fondamentali come salute, orientamento legale, assistenza sociale e psicologica”. 

Inoltre, in base all’osservazione condotta, “i trattenuti rimpatriati rappresentano solo il 45% del totale”. 

“Mancano nei CIE, come a esempio in quello di Torino, i mediatori culturali senza i quali si crea spesso incomunicabilità tra il medico e il paziente. Sconcerta l’assenza delle autorità sanitarie locali e nazionali – dichiara Alessandra Tramontano, coordinatrice medica di MSF in Italia  –  e i CIE di Trapani e Lamezia Terme andrebbero chiusi subito perché totalmente inadeguati a trattenere persone in termini di vivibilità. Ma anche in altri CIE abbiamo riscontrato problemi gravi: a Roma mancavano persino beni di prima necessità come coperte, vestiti, carta igienica, o impianti di riscaldamento consoni”.

“Nei CARA abbiamo rilevato servizi di accoglienza inadeguati. Il caso dei centri di Foggia e Crotone ne è un esempio: 12 persone costrette a vivere in container fatiscenti di 25 o 30 metri quadrati, distanti diverse centinaia di metri dai servizi e dalle altre strutture del centro. Negli stessi centri – conclude Tramontano – l’assenza di una mensa obbligava centinaia di persone a consumare i pasti giornalieri sui letti o a terra”.

La replica del Viminale. In un comunicato stampa il Viminale replica alle indagini di Medici Senza Frontiere. “Le valutazioni poco lusinghiere di MSF non ci meravigliano – si legge nella nota – perché è sotto gli occhi di tutti già dalla vicenda di Lampedusa una posizione tutta ideologica che l’organizzazione ha manifestato periodicamente e la cui sostanza quasi sempre non corrisponde al vero”. “Tutti i centri – prosegue il comunicato – sono ormai da tre anni aperti alle visite e ai sopralluoghi di autorità politiche, istituzioni e giornalisti, cosicché chiunque può accertarsi in qualsiasi momento delle reali condizioni di accoglienza e ospitalità di persone che, tuttavia, soprattutto per quanto riguarda i CIE, non sono certo contente di essere trattenute”. Per quanto riguarda il servizio di assistenza sanitaria, il Viminale afferma che nei centri sono garantiti “uno screening medico d’ingresso e un primo soccorso sanitario”.