L’interpretazione della Corte di giustizia UE sui presupposti della perdita dello status di rifugiato, asgi.it, 04/03/2010

Un cambiamento delle circostanze avente un carattere significativo e una natura non temporanea nel paese di provenienza fa venir meno i motivi che hanno determinato lo status di rifugiato.

 
 
La Corte di Giustizia dell’Unione europea (grande camera) nella sentenza 2 marzo 2010 n. 16/2010 nei procedimenti riuniti C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08 Sahaladin Abdulla) adotta la pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, letto in combinato disposto con l’art. 2, lett. c), della medesima direttiva e dichiara che:

1) L’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva deve essere interpretato nel senso che:

– una persona perde lo status di rifugiato quando, considerato un cambiamento delle circostanze avente un carattere significativo e una natura non temporanea, occorso nel paese terzo interessato, vengano meno le circostanze alla base del fondato timore della persona stessa di essere perseguitata a causa di uno dei motivi di cui all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, motivi per i quali essa è stata riconosciuta come rifugiata, e non sussistano altri motivi di timore di «essere perseguitat[a]» ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83;

– ai fini della valutazione di un cambiamento delle circostanze, le autorità competenti dello Stato membro devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il soggetto o i soggetti che offrono protezione di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/83 abbiano adottato adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione;

– i soggetti che offrono protezione ex art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva 2004/83 possono comprendere organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, anche per mezzo della presenza di una forza multinazionale su tale territorio.

2) Quando le circostanze in base alle quali lo status di rifugiato è stato riconosciuto abbiano cessato di sussistere e le autorità competenti dello Stato membro verifichino che non ricorrono altre circostanze che giustifichino il fondato timore della persona interessata di essere perseguitata, per il medesimo motivo di quello inizialmente rilevante o per uno degli altri motivi elencati all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, il criterio di probabilità per l’esame del rischio derivante da dette altre circostanze è lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato.

3) L’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di atti o minacce precedenti di persecuzione, può applicarsi quando le autorità competenti considerino di revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva 2004/83 e l’interessato, per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come rifugiato. Tuttavia, ciò potrà di regola verificarsi solamente quando il motivo di persecuzione sia diverso da quello considerato al momento del riconoscimento dello status di rifugiato e vi siano atti o minacce precedenti di persecuzione i quali sono collegati al motivo di persecuzione esaminato in tale fase.

La Corte era chiamata ad esaminare un caso sollevato in Germania per tre cittadini iracheni a cui il Bendesamt tedesco, considerata l’evoluzione della situazione in Iraq, aveva revocato lo status di rifugiato – ribadisce che una persona può perdere lo status di rifugiato quando le circostanze che giustificavano il “fondato timore di essere perseguitata abbiano cessato di sussistere” in modo significativo e non temporaneo. 

I giudici amministrativi superiori tedeschi avevano ritenuto, con riguardo al cambiamento sostanziale della situazione in Iraq, che gli interessati fossero ormai al riparo dalle persecuzioni subite sotto il precedente regime e che non sarebbero stati esposti a nuove minacce di persecuzione, fortemente probabili, dettate da altri motivi. È in tale contesto che il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale), investito delle controversie, si è rivolto alla Corte di giustizia per l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2004 relativamente alla perdita dello status di rifugiato. 
La Corte di giustizia dell’UE ricorda innanzitutto che, per avere la qualità di rifugiato, il cittadino del paese terzo deve, a causa delle circostanze esistenti nel suo paese di origine, fronteggiare il timore fondato di una persecuzione nei suoi confronti per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale. Dette circostanze sono la causa dell’impossibilità per l’interessato, o del suo rifiuto giustificato, di avvalersi della protezione del suo paese di origine con riferimento alla capacità di tale paese di prevenire o di sanzionare atti di persecuzione. 

Relativamente alla revoca dello status di rifugiato, la Corte dichiara che una persona perde tale status quando, a seguito di un cambiamento delle circostanze avente un carattere significativo e una natura non temporanea, occorso nel paese terzo interessato, vengono meno le circostanze alla base del fondato timore di essere perseguitata e non sussistano altri motivi di timore di essere perseguitata. 

La Corte rileva che, per giungere alla conclusione che il timore del rifugiato di essere perseguitato non è più fondato, le autorità competenti devono verificare che il soggetto o i soggetti che offrono protezione del paese terzo abbiano adottato adeguate misure per impedire la persecuzione. Essi devono quindi disporre, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione. Le autorità competenti devono altresì assicurarsi che il soggeto interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione. 

La Corte osserva che il cambiamento delle circostanze ha «un [carattere] significat[iv]o e una natura non temporanea» quando si possa considerare che gli elementi alla base dei timori del rifugiato di essere perseguitato siano stati eliminati in modo duraturo. Ciò comporta la mancanza di fondati timori di subire atti di persecuzione che rappresentino una «violazione grave dei diritti umani fondamentali». La Corte precisa che il soggetto o i soggetti che offrono protezione, con riferimento ai quali si valuta l’effettività di un cambiamento delle circostanze nel paese di origine sono lo Stato stesso, o partiti o organizzazioni, comprese le organizzazioni internazionali, che controllano lo Stato o una parte del suo territorio. A quest’ultimo riguardo la Corte riconosce che la direttiva non osta a che la protezione garantita da organizzazioni internazionali possa essere assicurata anche per mezzo della presenza di una forza multinazionale sul territorio del paese terzo. 

La Corte analizza poi l’ipotesi in cui le circostanze alla base del riconoscimento dello status di rifugiato abbiano cessato di esistere e le condizioni in cui le autorità competenti devono verificare, se del caso, se sussistano altre circostanze che giustifichino il fondato timore dell’interessato di essere perseguitato. 

Nell’ambito di siffatta analisi la Corte rileva in particolare che, sia nella fase della concessione dello status di rifugiato come nella fase dell’esame della questione del mantenimento del medesimo, la valutazione verte sulla stessa questione di appurare se le circostanze accertate rappresentino o meno una minaccia di persecuzione tale che la persona interessata possa fondatamente temere, con riferimento alla sua situazione individuale, di essere effettivamente oggetto di atti di persecuzione. La Corte conclude pertanto che il criterio di probabilità da applicare nella valutazione del rischio di persecuzione è lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato. 

Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte, ma la decisione della Corte vincola gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.