IL GRIDO D’ALLARME Sahara, polizia nel campo profughi: 2 morti; www.repubblica.it;08/11/2010

I Saharawi: “Il Marocco vuole cancellarci”

L’esodo del “popolo del deserto” per rivendicare l’indipendenza dal Marocco. Il Fronte Polisario accusa Rabat: “E’ ricominciata la repressione”. Tra le vittime anche un ragazzo. Vent’anni dopo il cessate il fuoco, il Sahara torna ad essere un campo di battaglia. Ferite almeno altre quaranta persone. Molte donne, secondo il Polisario, sono state picchiate. Gli aiuti delle ong di tutto il mondo.

di LUCIO LUCA

LAYOUN (Sahara Occidentale) –  L’assalto è partito quando era buio. Centinaia di poliziotti hanno fatto irruzione nel campo di Layoun, la capitale del Sahara occidentale, molte tende sono state distrutte. Ore di tensione con un bilancio drammatico: due persone, un gendarme e un pompiere, sono morte e più di 70 sono rimaste ferite. È guerra nel deserto del Sahara e le organizzazioni umanitarie lanciano l’allarme: “Il Marocco vuole cancellare la stessa esistenza di un popolo già senza diritti”. L’operazione – autorizzata dalla magistratura – è stata condotta per sgomberare le migliaia di occupanti del campo, allestito il 19 ottobre scorso per protestare contro il degrado delle condizioni di vita nella regione e chiedere lavoro e alloggi. La polizia marocchina ha prima bloccato la strada di collegamento fra il campo, poi ha interrotto la rete di telefonia cellulare. L’assalto è avvenuto proprio nel giorno in cui si apre a New York la terza sessione di negoziati fra il Marocco e il fronte Polisario, sotto l’egida dell’Onu. “È in pericolo l’esistenza del mio popolo, vi chiedo aiuto”, ha detto Omar Mih, rappresentante in Italia del fronte Polisario e del popolo saharawi, durante una conferenza stampa a Bologna.
Di nuovo campo di battaglia. Vent’anni dopo il cessate il fuoco, il Sahara torna così ad essere un campo di battaglia. E negli scontri, qualche giorno fa, era morto anche un ragazzino di 15 anni: si chiamava Elgarhi Nayem Foydam Mohamed Sueidi, tra i feriti anche il fratello Garhi Zubeir e almeno altre quaranta persone. Molte donne, secondo il Polisario, sono state picchiate e un noto attivista saharawi è stato arrestato. Dal 1991 la querelle tra il governo marocchino e il popolo Saharawi per uno spicchio di sabbia era rimasta soltanto nelle carte delle Nazioni Unite, nei rapporti delle Ong sui diritti umani violati, nelle risoluzioni mai applicate degli organismi internazionali. Il Marocco aveva continuato a esercitare la sua sovranità, duecentomila Saharawi si erano rinchiusi nel loro accampamento di Tindouf, in territorio algerino, in attesa di un segnale di pace che non è ancora arrivato. Poi, qualche giorno fa, l’esodo di massa del popolo del deserto, la protesta più dirompente dal 1975 a oggi. Da quando cioè l’esercito di Rabat guidato da re Hassan II “conquistò” il Sahara Occidentale e costruì un enorme muro di sabbia e mine lungo ben 2600 chilometri.

In pieno deserto. Ventimila saharawi si sono accampati a Agdaym Izik, in pieno deserto, a 15 chilometri da Layoun, per protestare contro la politica del governo marocchino. Giovani, donne, bambini ed anziani che rivendicano il diritto naturale all’esistenza del loro popolo e a una terra natale: in poche parole all’autodeterminazione. Chiedono l’indipendenza, vogliono che venga celebrato il referendum proclamato quasi vent’anni fa ma rimasto carta straccia. Hanno montato le hamais, le tende basse che un tempo erano il loro unico riparo. Caldo cocente di giorno, gelo che penetra nelle ossa la notte. Vivevano qui negli anni Settanta, amavano la loro terra e sfruttavano le risorse economiche: le miniere di fosforo e il tratto di mare più pescoso della sponda meridionale del Mediterraneo. Poi il Marocco si è preso il deserto e ai Saharawi non è rimasto altro che fuggire in Algeria. Molti, è vero, sono passati con il “nemico”. Tanti provano a mediare tra le parti: “Siamo fratelli  –  dicono  –  non c’è alcun motivo di dividerci”.

La solidarietà dal mondo intero.
Ma gran parte dei saharawi hanno scelto l’esilio e sopravvivono grazie agli aiuti delle ong di tutto il mondo. Molte delle quali sono concentrate in Italia rappresentate dal Coordinamento dell’Associazione Nazionale di Solidarità con il popolo Saharawi, in Toscana ed Emilia Romagna, soprattutto. L’associazione EveryOne  ha chiesto l’intervento dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Navi Pillay, l’associazione Jaima Sahrawi  ha rinnovato anche per quest’anno l’esperienza del campo di lavoro ai campi di rifugiati Sahrawi in Algeria “Jalla gumu” (per informazioni si può inviare una mail a ceccardi. andrea@libero. it). Si tratta di un progetto di animazione rivolto ai bambini delle scuole elementari di Smara. Si svolge generalmente nel periodo delle vacanze natalizie e coinvolge un gruppo di volontari italiani e un gruppo di insegnanti-animatori saharawi.

Le diverse iniziative. Un workshop nei campi Saharawi è stato promosso anche dall’Arci  dal 28 dicembre al 4 gennaio (info e iscrizioni su campidilavoro@arci. it o info@giuliodimeo. it) mentre sono numerose le associazioni che parteciperanno a febbraio alla grande Maratona del Sahara ormai giunta alla undicesima edizione. Promossa dal comitato sportivo Saharawi e organizzata da volontari provenienti da diverse nazioni, la Sahara-Marathon, oltre alle gare ha come obiettivo la promozione dell’attività sportiva tra i giovani e le giovani saharawi e il finanziamento di un progetto umanitario che, per questa edizione, sarà la costruzione di una scuola dello sport. Il percorso di gara connette simbolicamente tre campi profughi: Smara, Aoserd e proprio Layoun. I corridori attraverseranno quel deserto che è la casa degli esuli saharawi da piú di 35 anni.

La storia recente. Perché quella del conflitto tra “fratelli” nel Sahara Occidentale – fino al 1973 sotto il controllo della Spagna di Franco – è proprio una storia infinita. Il Polisario riuscì a conquistare questa parte del deserto, ma la “gloriosa” marcia verde del ’75 riportò il deserto sotto il controllo marocchino. Adesso i saharawi vivono negli accampamenti in condizioni ai limiti della sopravvivenza. Ci sono donne, bambini, anziani che da 35 anni aspettano di poter tornare al di là del “berm”, il muro della vergogna, come lo chiamano loro. L’esodo verso Layoun è stato l’estremo tentativo di riportare il dramma saharawi all’attenzione del mondo. Gli incidenti della scorsa notte, la repressione della polizia e la morte di un ragazzino rischiano invece di far riesplodere un conflitto mai sopito.