Giustizia per Soumaila Sacko

Condannato a 22 anni per omicidio volontario l’uomo che due anni e mezzo fa sparò al sindacalista maliano.

Soumaila Sacko era un bracciante, padre di una bambina di 5 anni e sindacalista dell’Unione Sindacale di Base. 

Arrivato in Europa per costruire un futuro che il suo Paese gli negava, aveva trovato sfruttamento, schiavitù, baracche di lamiere e condizioni ai limiti della sopravvivenza e lesive della dignità umana. Era uno dei tanti braccianti che con il loro lavoro muovono l’economia della Piana di Gioia Tauro, costretti a vivere in condizioni disumane nella tendopoli di San Ferdinando. Soumaila aveva scelto di non arrendersi alla brutalità e lottava per riscattare la sua esistenza e quella delle migliaia di schiavi nelle campagne. Il 22 giugno del 2018 stava cercando insieme a due compagni, come lui braccianti sfruttati, delle lamiere per costruire una baracca all’interno dello stabilimento dismesso detto “La Fornace Tranquilla”, nelle campagne di San Calogero. Qui lo hanno raggiunto gli spari partiti dal fucile di Antonio Pontoriero, agricoltore della zona che rivendicava la proprietà dell’area, nonostante si trattasse di un terreno abbandonato in cui la Procura di Vibo Valentia aveva scoperto una discarica abusiva con 135mila tonnellate di rifiuti tossici.

I suoi compagni sono riusciti a salvarsi e hanno fornito le testimonianze chiave per l’identificazione dell’omicida. Dopo due anni e mezzo, la sera dell’11 novembre 2020, la Corte d’Assise di Catanzaro, presieduta da Alessandro Bravin, ha condannato in primo grado Antonio Pontoriero a 22 anni per omicidio volontario e detenzione e porto illegale di armi da fuoco e munizioni.

«La sentenza della Corte di Catanzaro segna un passaggio importantissimo per quanti ogni giorno si oppongono a un’esistenza da schiavi ad uso e consumo della filiera agroalimentare» ha affermato l’avvocato di Progetto Diritti Arturo Salerni che, insieme all’avv. Mario Angelelli, Presidente della nostra associazione, ha difeso la moglie, la figlia e i quattro fratelli di Soumaila, oltre all’Unione Sindacale di Base, tutte costituitesi parte civile nel processo. «La morte di Soumaila aveva, una volta di più, portato al centro del dibattito le condizioni di vita nei ghetti, e il suo impegno in quei luoghi di emarginazione e sopraffazione rappresentava un valore e una promessa di riscatto. Oggi accogliamo con soddisfazione la sentenza del Tribunale di Catanzaro e da qui ripartiamo per continuare nel nostro percorso di giustizia al fianco dei tanti Soumaila che ogni giorno vedono negati i propri diritti».