TURCHIA, INTERVISTA AD AYKOL:”HANNO BOMBARDATO LA SEDE DEL MIO GIORNALE”

Hüseyin Aykol, giornalista turco, negli anni Novanta era nella redazione dell’Özgür Gündem, quando la sede del giornale fu bombardata e i suoi giornalisti uccisi dal governo turco, perché accusati di essere troppo vicini alla questione curda. Lo abbiamo incontrato a Roma, nel corso di un convegno organizzato dalla FNSI e dall’associazione Europa-Levante.

DI SEGUITO L’INTERVISTA DI CECILIA DALLA NEGRA

TRATTA DA http://www.osservatorioiraq.it 03.10.2012

Hüseyin Aykol ha il volto segnato dagli anni, una lunga barba bianca, gli occhi timidi. Quando lo incontriamo a Roma, nel corso del convegno organizzato dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) e dall’Associazione Europa-Levante per denunciare la repressione della libertà di stampa in Turchia, ci tiene a puntualizzare alcune cose.

“Non so se mi sono presentato bene. Forse alcuni pensano che io sia curdo ma non è così. Sono turco”.

Particolare non da poco, considerando che da 23 anni Aykol fa il giornalista in Turchia e si occupa di questione curda.

Nella sua vita ha visto colleghi arrestati, processati, assassinati. Ha scontato 10 anni di carcere e visto la sede del suo giornale bombardata e distrutta.

Ha visto le forze di polizia fare irruzione nelle redazioni per sequestrare hard disk, computer, appunti. Nei primi anni ’90, quando gli scontri tra governo turco e guerriglieri curdi del Pkk si facevano duri, e per la stampa nazionale non stava succedendo niente, il suo giornale raccontava fatti, riportava notizie.

L’Özgür Gündem, il celebre quotidiano di Diyarbakir, ha fatto storia per la repressione che ha subito. Colpevole di dar conto delle violazioni dei diritti umani nel paese, fu vittima dello “sterminio di un’intera redazione”, come lo definisce il presidente della Fnsi, Roberto Natale.

In quella redazione c’era anche Hüseyin Aykol.

Nel 1993 il suo editore, Ocak Işik Yurtçu, venne arrestato e accusato di violazione del codice anti-terrorismo. Fu condannato a 50 anni di carcere, in una delle sentenze più dure mai emesse in tema di libertà di espressione nel paese. L’Özgür Gündem fu chiuso e ridotto al silenzio per 17 anni. Ha ripreso le pubblicazioni soltanto nell’aprile del 2011.

È storia di ieri, ma è storia anche di oggi.

Perché, racconta Aykol, “fare un giornalismo attento alla questione curda, in Turchia, era un lavoro difficile negli anni Novanta. Ma purtroppo lo è ancora”.

Ricordando quegli anni, Aykol spiega: “Il governo di allora imponeva la chiusura delle sedi di giornali, noi le riaprivamo da un’altra parte, con un altro nome. Quando hanno capito che arrestare giornalisti e intellettuali non  bastava a metterli a tacere, li hanno ammazzati. Hanno letteralmente bombardato le sedi dei nostri giornali. Possiamo anche affermare che oggi la situazione sia migliorata: resta il fatto che 36 colleghi in questo momento sono sotto processo a Istanbul e oltre 90 si trovano in carcere”.

Cosa rende tanto scomodo il lavoro di questi giornalisti?

“Il nostro giornale segue le stesse notizie di tutti gli altri quotidiani pubblicati in Turchia. Ma mentre il resto della stampa utilizza termini denigratori e menzogne quando si riferisce alla questione curda, noi ci limitiamo a riportare le notizie. Per questo continua a essere preso di mira. Il giornale è stato costretto a chiudere per un mese anche nel marzo scorso. In quel caso però la società turca si è mobilitata, e grazie anche alle proteste europee abbiamo potuto riaprire. Certo, per rendere il lavoro difficile hanno sempre la censura”.

Intimidazioni, arresti, accuse di terrorismo. Che cosa significa ‘libertà di stampa’ oggi in Turchia?

La libertà di stampa in un paese dove i giornalisti sono uccisi, arrestati o costretti a scappare in Europa per salvarsi diventa un tema centrale per la costruzione della democrazia. Che non sarà compiuta finché non sarà risolta, pacificamente, la questione curda. Da giovani abbiamo creduto nel socialismo, nella rivoluzione. Può darsi che i nostri sogni si siano infranti. Ma prima o poi una democrazia reale dovrà realizzarsi anche qui. Io non sono riuscito a vederla. Posso solo sperare che i miei nipoti vivano in una Turchia che ha risolto la questione curda, nella quale sia possibile parlarne apertamente”.

Perché un giornalista turco, come lei, ha ritenuto così importante occuparsi della questione curda?

Per la stessa ragione: una questione di democrazia. Finché non si potrà parlare liberamente di questi temi, e la questione non sarà risolta, sarà impossibile l’eguaglianza e la parità in questo paese. Sono 23 anni che lavoro in questa direzione”.

Durante gli anni Novanta è stato testimone di una repressione brutale. Eppure numeri e dati raccontano di una situazione ancora drammatica.

Negli anni Novanta ho visto i miei colleghi uccisi, il nostro ufficio bombardato, il nostro staff arrestato. Era un campagna repressiva più aperta ed evidente, ma la situazione oggi non è migliore. A un’osservazione esterna può anche sembrare che lo sia, ma le condizioni generali di libertà di stampa e di espressione sono pessime. Questo governo non è migliore dei precedenti. L’Europa lo sa, e lo sa anche la stampa internazionale”.

Nelle ultime settimane ci sono stati numerosi appelli e campagne lanciate per denunciare le condizioni subite dai giornalisti in Turchia. Che ne pensa?

Credo che le missioni internazionali e le iniziative di denuncia e solidarietà, come quella organizzata dalla Fnsi, siano molto importanti. Il governo in carica è attento alle critiche, che trova estremamente fastidiose. La pressione dei governi nazionali e delle associazioni di categoria sono scomode: queste campagne non faranno forse uscire i miei colleghi dal carcere oggi, ma l’attenzione su di loro potrà servire domani. E, almeno, non saranno uccisi”.