Progetto Diritti per una soluzione politica della questione kurda

altTahir Elçi, presidente dell’ordine forense di Diyarbakir, è stato assassinato la mattina del 28 novembre nel distretto di Sur. L’agguato è avvenuto al termine di una conferenza stampa in cui, insieme ad altri avvocati, aveva voluto denunciare le violenze e gli attacchi in quella regione che, negli ultimi giorni, avevano causato il danneggiamento dello storico minareto a quattro colonne. “Non vogliamo armi, scontri, operazioni in quest’area, che ha ospitato così tante civiltà”: queste le sue ultime parole prima di essere raggiunto da un colpo di pistola alla nuca.

Elçi era un punto di riferimento per tante associazioni non governative che lottano per i diritti umani. In un’intervista alla CNN Turca aveva dichiarato che il PKK non è un’organizzazione terroristica ma un movimento politico armato che ha delle serie rivendicazioni e beneficia di un grosso sostegno popolare. Per questo rischiava fino a sette anni e mezzo di carcere per propaganda a favore di un’organizzazione terroristica. Non la costituzione turca, né le convenzioni internazionali che la Turchia ha firmato, avrebbero potuto giustificare quest’accusa per l’espressione di un libero pensiero. Solo l’ennesimo atto di forza del governo di Erdogan contro il movimento kurdo. Solo un mese fa, in un’intervista per l’emittente Channel 4, Elçi aveva parlato delle minacce di morte ricevute. Per la popolazione kurda e per molti osservatori internazionali il suo omicidio è da iscriversi nella strategia del terrore che tende a criminalizzare tutti i kurdi che lottano per il dialogo e per dare uno sbocco politico al conflitto tra Ankara e i kurdi del sud-est anatolico riesploso dopo la fine della tregua il 24 luglio scorso.

Il 29 novembre il vertice tenutosi a Bruxelles tra Unione Europea e Turchia si è concluso con un accordo che prevede tre miliardi di fondi aggiuntivi ad Ankara per bloccare il flusso di migranti verso l’Ue in cambio di un’accelerazione dei negoziati che dovrebbero portare la Turchia ad approdare nell’Unione Europea. La riapertura dei capitoli 23 e 24 del negoziato di adesione riguardanti le libertà fondamentali e il sistema giudiziario è stata rimandata a chissà quali altri momenti.

Progetto Diritti, oltre a condannare con forza l’uccisione dell’avvocato Tahir Elçi e a unirsi all’enorme folla che a Diyarbakir si è radunata per la cerimonia funebre nonostante i blocchi dei voli e degli autobus imposti dalle autorità governative per raggiungere la città, vuole sottolineare l’importanza di una risoluzione politica della questione kurda e la sua profonda connessione con la lotta al terrorismo dell’ISIS e la tutela dei diritti di migranti e rifugiati in fuga da guerra e persecuzioni.

Di seguito il comunicato integrale di Progetto Diritti onlus.

PROGETTO DIRITTI PER UNA SOLUZIONE POLITICA DELLA QUESTIONE KURDA

L’omicidio premeditato di Tahir Elçi, difensore dei diritti umani e Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Diyarbakir, evidenzia, ancora una volta, la necessità di un intervento dell’Unione Europea per l’avvio di un percorso finalizzato ad una soluzione politica del conflitto nella regione kurda.

Non si può nascondere il fatto che le milizie kurde sono state e sono in questi ultimi mesi l’unica trincea contro il dilagare del terrorismo dell’ISIS, con un contributo immenso di vite umane, a tutela delle diverse minoranze etniche e religiose e delle popolazioni che vivono nel tragico scenario di guerra siriano.

Né può essere taciuta la circostanza che nel Kurdistan turco è in atto una feroce repressione dei movimenti democratici e nazionali kurdi da parte del regime di Erdogan, che è indice della volontà di non arrivare ad una soluzione pacifica dei problemi dell’area.

L’opinione espressa dall’avvocato Elçi, per cui il processo di pace non può che passare attraverso il coinvolgimento del PKK – il movimento guidato da Abdullah Ocalan che rappresenta da decenni le istanze del popolo kurdo, insieme a una variegata società civile che è fortemente rappresentata nel Parlamento turco – deve essere fatta propria dalle forze politiche democratiche dell’Europa, perché solo una soluzione politica della questione kurda che veda coinvolti tutti gli attori del conflitto può innescare un processo di pace nell’intera regione mediorientale.

Il dialogo con la Turchia e la prospettiva di un allargamento dell’Unione Europea non può prescindere da questo elemento, e dalla necessità di porre alla base del dialogo il rispetto dei diritti umani e il riconoscimento dell’autonomia democratica, in primo luogo nei confronti del popolo kurdo.

Il recente vertice di Bruxelles non si muove in questa prospettiva, e anzi pone come base del confronto tra Unione Europea e governo turco la negazione del diritto di asilo e l’occultamento della questione della tutela dei diritti, e ciò non potrà che rafforzare la spirale terribile delle persecuzioni di massa e del terrorismo fondamentalista.

Occorre una netta e indifferibile inversione di marcia, a cominciare dalla cancellazione del PKK (i cui militanti combattono per la democrazia ed il rispetto dei diritti degli uomini e delle donne contro il terrorismo dell’ISIS) dalle liste delle organizzazioni terroristiche.

Occorre chiedere con forza alla Turchia il superamento di ogni ambiguità nei rapporti con l’ISIS, e il rispetto delle libertà democratiche e dei diritti del popolo kurdo.

Occorre che l’Unione Europea avvii un tavolo negoziale per la soluzione della questione kurda con la presenza di tutte le parti coinvolte, a partire dal PKK.

Occorre garantire tutela e rifugio per coloro che fuggono dagli scenari di guerra, nel rispetto delle convenzioni internazionali ed europee e dei principi fondamentali delle costituzioni nazionali.

Bisogna uscire dall’ipocrisia e dall’ambiguità: ogni ritardo sulla strada del dialogo non potrà che aggrovigliare ed aggravare ulteriormente la situazione attuale ed allontanare le prospettive di pace nel Medioriente e di sconfitta del terrorismo fondamentalista.

Roma, 30 novembre 2015