Al via il Processo Condor.La fatica e il dovere della verità

 

alt15.116. Sono questi i giorni che separano Alejandro Montiglio da quell’11 settembre del ’73, giorno del sequestro di suo padre Juan José Montiglio Murúa, e il primo momento in cui la giustizia si occupa del suo caso. E questo accade dall’altra parte del mondo, a Roma, dove il 12 febbraio si è aperto, presso l’aula Bunker di Rebibbia, il Processo contro alcuni responsabili del Piano Condor, l’Internazionale del terrore che coordinò il sequestro, l’interscambio e la sparizione di migliaia di oppositori politici ai regimi in Sud America fra il ’73 e il ’78.

L’avvocato Andrea Speranzoni, avvocato di parte civile, racconta i primi commenti, le reazioni dei familiari di alcune delle vittime del processo che seguono gli avvenimenti dal Cile. Ventiquattrenne, Juan Montiglio era uno studente universitario di Biologia e capo della “Guardia de Amigos del Presidente” (GAP), la scorta personale di Salvador Allende. Suo figlio convive col pensiero che il padre sia stato ucciso dopo esser stato torturato e magari costretto a scavare la propria fossa, come accaduto ai 20 giovani del Gap.

Si capisce quindi quale sia l’attesa in Uruguay, Cile, Bolivia, Argentina per lo svolgersi di questo processo. I familiari delle vittime hanno subito una mutilazione insanabile e nessuna astrazione giuridica potrà mai rendere l’aberrazione e la ferocia di quegli anni. 
Molti uomini e donne vennero rintracciati e sequestrati nei Paesi dove erano fuggiti da esuli a testimonianza della fitta rete di complicità fra Intelligence dei diversi Stati che diedero vita al Piano Condor. Aída Celia Sanz Fernández aveva 26 anni, era un’uruguayana esule in Argentina. All’epoca del suo sequestro era incinta di 8 mesi. Venne torturata e le fu indotto brutalmente il parto. La figlia neonata le fu sottratta e ha potuto recuperare la sua identità a 22 anni grazie alle Abuelas di Plaza de Majo. Oggi la nipote ricorre alla giustizia italiana rappresentata dall’avvocata Marta Lucisano la quale sottolinea l’importanza di questo processo anche per tradurre queste tragiche pagine della storia, nel sapere condiviso, soprattutto per le giovani generazioni.
Il valore di questo processo che si svolge a 40 anni di distanza in un Paese lontano, ha davvero una portata storica e una connotazione di universalità. Non solo è il doveroso riconoscimento ai parenti dei desaparecidos, un’intera generazione sterminata in un contesto dominato dalla violazione sistematica di ogni diritto e dalla totale impunità. Il suo significato scavalca i confini storico-geografici dei fatti sotto giudizio, per servire da monito alle derive che offendono l’umanità anche nei nostri giorni.
Gli avvocati di parte civile non nascondono che si tratti di un percorso irto di difficoltà. Innanzitutto occorre esaminare una mole incredibile di documenti fra cui quelli contenenti informative e verbali di incontri fra Presidenti e Segretari di Stato e le relazioni elaborate dalle Commissioni della pace, come quella Cilena e Argentina. Operazione indispensabile per comprendere il contesto storico e ricostituire i mezzi attraverso cui giungere a una sentenza per ogni singolo caso. Un altro problema è relativo all’esistenza di testimonianze di persone che non ci sono più. Occorre inoltre accertare le responsabilità di coloro che, pur non avendo operato direttamente, hanno comunque avuto un ruolo in quegli accadimenti. Senza parlare delle difficoltà (economiche, di notifiche, di traduzione) connesse alla necessità di ascoltare più di 167 testimoni dell’accusa, oltre ai testimoni introdotti dalla difesa e dalle difese di parte civile.
Infine questo Processo ci pone ancor più di fronte a un’urgenza: quella di introdurre nel nostro ordinamento penale il reato di tortura e quello di sparizione forzata, crimini contro l’umanità secondo la Corte Penale Internazionale, cui l’Italia ha aderito nel 1998.