Continua e radicata violazione dei diritti delle donne in Nigeria

Così la giudice del Tribunale civile di Roma, Monica Velletti, motiva l’accoglimento parziale del ricorso di una cittadina nigeriana, assistita dall’avvocato di Progetto Diritti Andrea Vitale, che si era vista rifiutare la richiesta di protezione internazionale dalla commissione territoriale. La donna era fuggita dalla Nigeria, dalla regione dell’Edo State, dopo aver subito violenze da parte di uno zio presso cui era andata a vivere dopo la morte dei genitori. La polizia aveva creduto allo zio, per cui si era vista costretta ad abbandonare il proprio Paese. Le violenze erano continuate durante il tragitto e soprattutto in Libia, dove la donna aveva trascorso molti mesi.

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale, in quanto le dichiarazioni della richiedente erano state ritenute “destituite di elementi di riscontro esterno”.

La giudice del Tribunale ritiene invece che il racconto della richiedente appaia del tutto compatibile con la situazione sociale delle donne nel Paese di origine, dove vige una cultura del patriarcato molto forte e assorbente e un altrettanto forte discriminazione di genere. Inoltra le modalità del viaggio (non essendo fra l’altro chiara la provenienza del denaro necessario per affrontarlo) le numerose violenze subite, evocano le modalità della tratta delle donne sfruttate ai fini della prostituzione.

La donna, tornando nel suo Paese di origine, correrebbe il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti, pertanto le va riconosciuta la protezione sussidiaria. In questo caso, infatti, vengono in rilevo i presupposti applicativi di cui alla lettera b) dell’art.14 del d.lgs. 251/2007.

La giudice fonda la propria decisione anche sulla base del Rapporto annuale Amnesty International 2015/2016 che testimonia, in Nigeria, una continua e radicata violazione dei diritti fondamentali della persona, con particolare riferimento alle condizioni di vita delle donne, seriamente esposte al rischio di comportamenti gravemente degradanti, per la diffusione di violenze a sfondo sessuale in cui sono coinvolti anche apparati dello Stato, oltre che di comportamenti diretti a indirizzare, con forme di costrizione varie, le giovani verso la prostituzione. Il rischio quindi è che la richiedente possa essere vittima di sfruttamento in caso di ritorno nel suo Paese, considerato anche il suo conclamato stato di emarginazione e l’assenza di alcun residuo legame affettivo, oltre che di alcun mezzo di sostentamento.

 

 

 

 

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