Rabbia e paura, le lacrime di Kamal, La Repubblica, 07/01/2010

Marocchino, 25 anni, racconta: “Urla e insulti dall’auto
Poi hanno cominciato a colpirci come fossimo bersagli al tiro a segno”

Rabbia e paura, le lacrime di Kamal “Un’aggressione e nessuno ci ha aiutati”

Tre ragazzi su un’auto: ridevano e urlavano: “Oggi non si lavora”. Poi il veicolo ha acceleratodi

SALVO PALAZZOLO

ROSARNO (REGGIO CALABRIA) – “Ridevano, tre ragazzi su una macchina scura. Ridevano e urlavano: “Oggi non si lavora?”. Dalla statale la macchina ha cominciato ad accelerare e dai finestrini due si sono messi a sparare”.

Kamal non smette di piangere mentre è spinto da un fiume di uomini che adesso urlano a squarciagola lungo la via Nazionale, che è la strada principale di Rosarno ma non riesce a contenere tutti.
“Siamo qui solo per lavorare”, urla un giovane del Ghana con l’accento bergamasco. “Non siamo bestie”, dice un marocchino che imbraccia un bastone. “Non siamo bestie”, ripete e rompe i finestrini di tutte le auto che sono parcheggiate in strada.

Kamal ha ancora negli occhi quei ragazzi che sparavano dal finestrino: “Ero appena tornato dalla raccolta con i miei compagni – racconta – stavo per entrare nella fabbrica. E’ successo tutto così all’improvviso. Io sono riuscito a scappare, a buttarmi sotto una catasta di legna”.

“Un mio compagno – continua – è stato colpito alla gamba. Un altro al petto. Io urlavo, chiedevo aiuto. Ma nessuno poteva sentirci. C’erano delle macchine che passavano poco distante: come facevano a non vedere? Come facevano a non fermarsi – si chiede Kamal – ma nessuno si è fermato, nessuno ha chiamato la polizia. E quei ragazzi ridevano”.

Kamal ha 25 anni, è marocchino di Casablanca, è arrivato da appena un mese nell’inferno della fabbrica della Rognetta. “Ma io mi sento italiano – dice – anche se sono un clandestino. Adesso io sto cercando di fermare la rabbia dei miei compagni. Ma la rabbia è davvero tanta. Perché molti hanno il permesso di soggiorno, si sentono più italiani di me. E non sono più disposti a sopportare”.

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La voce di Kamal non è isolata. Qualche altro compagno tenta di mediare. Ma la ferita del dicembre 2008 è ancora viva. Anche quella volta qualcuno sparò dentro la fabbrica dormitorio, due giovani ivoriani rimasero feriti gravemente. Anche quella volta scoppiò la protesta dei disperati della Rognetta. “Niente di quello che è stato promesso è mai arrivato”, dicono i più duri del movimento che ha invaso nel giro di un’ora il centro di Rosarno.
Il fiume della protesta avanza con decisione. “È stata un’azione organizzata”: le notizie corrono da un capo all’altro del paese ormai occupato. “In contemporanea hanno sparato alla fabbrica della Rognetta e all’ex Opera Sila”, spiega Kamal. Ogni notizia che arriva dal passaparola in tante lingue rinfocola ancora di più la rabbia.
Altre vetrine spaccate, altre macchine distrutte. Kamal ha adesso preso coraggio. Quando già a Rosarno è buio e le squadre antisommossa di polizia e carabinieri presidiano le vie di accesso al paese si forma un piccolo comitato per la mediazione. In dieci vanno incontro ai funzionari di polizia. Chiedono garanzie. Chiedono protezione contro le scorribande.

“Ma i miei compagni sono ancora arrabbiati – dice Kamal – hanno paura. E io stesso questa notte non tornerò alla fabbrica. Perché è successo l’anno scorso, è successo oggi. E può succedere ancora”. Kamal sussurra che vorrebbe andare via. “Non vale la pena rischiare la vita a raccogliere mandarini, per venticinque euro al giorno”. Si ferma un attimo a pensare, poi dice: “Lo so che adesso daranno tutta la colpa a noi. E quei ragazzi che si divertivano a utilizzarci come tiro al bersaglio chissà dove sono a spassarsela”.

Rosarno è devastata. “Io sono dispiaciuto – dice ancora Kamal – perché qui, in fondo, la gente non è razzista. E tanti volontari ci aiutano. Ma adesso |saranno esasperati anche tut|ti quelli che hanno subito dei danneggiamenti”. Kamal dice che andrà via da Rosarno: “Io ho paura. Quei ragazzi che sparavano dalla macchina e ridevano non riesco proprio a dimenticarli”.