Rinvio a giudizio per il carabiniere che uccise Sekine Traore

Il 31 novembre, il Giudice dell’Udienza preliminare di Palmi, respingendo le richieste di proscioglimento della difesa e accogliendo le richieste della Procura e degli avvocati della vittima, Arturo Salerni, Santino Piccoli e Flavio Loria, ha disposto il rinvio a giudizio per il carabiniere che l’8 giugno 2016 uccise con un colpo d’arma da fuoco Sekine Traorè.

 

Sekine, 27 anni, proveniva dal Mali e, in attesa dell’accoglimento della sua richiesta di protezione internazionale, viveva nella baraccopoli di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro. Era uno dei tanti lavoratori stagionali che vivono in condizioni disumane fra tende e baracche improvvisate. Un’esistenza da schiavi, a uso e consumo di una vasta filiera di sfruttamento, fino alla mattina dell’8 giugno del 2016. Quel giorno tra Sekine e altri due lavoratori di nazionalità africana era scoppiata una lite per futili motivi. Secondo le testimonianze, il giovane maliano, con un coltello da cucina, aveva ferito gli altri due uomini per questo era stato richiesto l’intervento dei carabinieri. Sembra che Sekine, in evidente stato di alterazione psicofisica continuasse a tenere in mano il coltello, minacciando chiunque gli si volesse avvicinare. Intanto all’accampamento arrivava una seconda pattuglia dei carabinieri e una della polizia di Stato. I carabinieri hanno dichiarato di aver tentato di far desistere Sekine dalla condotta violenta, ma che lui continuava a lanciare addosso a loro qualsiasi oggetto trovato in tenda. Uno dei carabinieri, che era stato colpito con un coltello, aveva esploso un colpo di pistola a distanza ravvicinata, colpendo Sekine all’addome e uccidendolo.

Nella seduta del 31 novembre il carabiniere è stato rinviato a giudizio in ordine ai reati agli articoli 52, 55 e 575 del cp. per condotta di legittima difesa eccedente colposamente i limiti imposti dalla necessità del caso, in quanto esplodeva un colpo d’arma da fuoco nonostante Traoré avesse utilizzato un coltello e nonostante il fatto che l’attività di repressone delle condotte violente fosse stata supportata anche da altri 5 operatori delle forze dell’Ordine che avevano comunque il pieno controllo della situazione.

Un passaggio importantissimo che apre la possibilità di fare piena chiarezza sulle dinamiche che hanno condotto alla morte di Sekine, anche attraverso la valutazione delle testimonianze dei parenti e degli altri abitanti della tendopoli, che in molti punti divergono dalla versione ufficiale.

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